Il nuovo album del principe del pop. Vediamo com’è.
Bruno Mars si presenta di nuovo negli store con l’album che, nelle intenzioni, dovrebbe essere quello della definitiva consacrazione e che gli permetta di scrollarsi la pesante e stucchevole etichetta di “nuovo Michael Jackson”.
La collaborazione con Mark Ronson in “Upton Funk”, un pezzo in pieno Minneapolis Sound degno del miglior Prince, gli aveva regalato mesi fa un successo che aveva ribadito la grande capacità di Mars nel calarsi in ritmi funk, che ormai pochi artisti frequentano.
L’album, molto breve e concentrato, consta di sole 9 canzoni, in cui il nostro riprende il discorso interrotto nei suoi precedenti lavori, spingendo l’acceleratore su sonorità molto anni 80. La continuità è infatti l’obiettivo prefigurato da Mars, che in questa manciata di canzoni sciorina tutte le declinazioni della Black Music, passando agevolmente dal Soul più zuccheroso (Versace on the floor), al Funk alla James Brown (Perm), alla Ballad in pieno stile Prince (Calling all my lovelies), al Sinth-Pop alla Michael Jackson (Chunky).
Mars riesce a fagocitare tutte queste influenze in un album che scorre via veloce e segna se non un’evoluzione del suo sound, almeno una conferma delle sue grandi doti. Per qualcuno sarà un’opera legata al passato, soprattutto ai vituperati anni 80, ma ce ne fossero di operazioni nostalgia come queste.
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