Depeche Mode: Spirit

Se volevate un album ottimista e solare da parte dei Depeche Mode, ripassate la prossima volta. Se, invece, siete preoccupati come loro per come va il mondo, Spirit è il disco da ascoltare.

Dopo quattro anni e un Delta Machine non proprio riuscitissimo, i Depeche Mode tornano con Spirit, un album segnato dalla voglia di rinnovamento e di esporsi, cosa non così scontata per una band che ormai viaggia per i quarant’anni di attività.

Where’s The Revolution è il singolo di lancio di questo disco ed anche una dischiarazione d’intenti: Martin Gore, Dave Gahan e Andy Fletcher sentono il bisogno di domandarsi dove sia e cosa sia il nuovo che avanza e soprattutto dove ci condurrà, mettendo subito in chiaro quale sia lo spirito dell’album.

Le canzoni sono strutturate sopra uno scheletro blues, su cui si posano tutte le strutture sintetiche e riconoscibili dei Depeche Mode, molto meno inclini rispetto al recente passato a concedersi a facili soluzioni.

Il cambio di produzione (James Ford al posto di Ben Hiller) porta una maggiore cura nei dettagli sonori che forse era stata accantonata troppo in fretta negli ultimi album, stanchi e appesantiti dall’eccessiva e piatta elettronica. La freschezza che ne consegue partecipa a rendere Spirit un disco molto riuscito, in cui si incrociano pianoforte e chitarra, synth e techno, esaltando le canzoni che si susseguono.

Going Backwards (con il suo piano drammatico in evidenza), la sommessa Cover Me (dall’indovinata coda finale), la decadente Poison Heart e la disillusa Fail sono le migliori espressioni di questo disco.

Il suo essere molto simile per struttura e sonorità ai fortunati Violator e Songs Of Faith And Devotion, rende Spirit un lavoro che prende spunto dal passato per parlare del presente e di come la deriva politica e morale sia ormai accettata e consolidata.

Dave Gahan sembra riuscire a migliorare la sua espressività vocale di album in album, caratteristica assai rara e più che apprezzabile per il frontman, che viene ancora più coinvolto rispetto al passato nella scrittura dei pezzi e non sfigura affatto nel confronto con Martin Gore, l’autore storico del gruppo.

Spirit è finalmente molto più del solito album sfornato svogliatamente, magari al solo scopo di riempire gli stadi con un tour e senza una vera esigenza autoriale (qualcuno ha detto U2?). Sicuramente è il loro lavoro migliore dai tempi di Ultra e non può che essere una buona notizia per chi nutre ancora un pò di speranza per la Musica e non sopporta vedere il mercato adagiarsi sui Talent(ini) sfornati in serie industriale dalla TV.

Martin Gore canta nella finale Fail “Our consciences bankrupt: we’re fucked ed è probabilmente il miglior riassunto del pensiero dei Depeche Mode su come stanno andando le cose.

E un pò anche il nostro.

7 commenti

  1. Sei tra gli entusiasti, dunque. Ho infatti letto pareri contrastanti su questo disco: da una parte gli entusiasti come te e dall’altra i delusi. Tra stasera e domani dovrei comprarmene una copia, poi forse potrò dire anch’io la mia con cognizione di causa. Bella recensione, comunque.

    • Quello che più mi è piaciuto di questo disco è la loro voglia di mettersi in gioco e di provare a cambiare un pò le cose, nonostante fossero comunque premiati a livello di vendite e nessuno chiedesse loro di farlo. E’ facile per band e artisti dalla lunga carriera adagiarsi su scontati cliché e ripetizioni, che spesso li portano verso un agonia artistica. In questo caso i Depeche Mode mi sono piaciuti proprio per la loro voglia di fermarsi prima che fosse troppo tardi e per una maturità musicale e testuale che non credevo potessero raggiungere. Grazie come sempre per i complimenti e aspetto di leggere la tua recensione.

  2. Complimenti per l’articolo!! Band che seguo da quando avevo 15 anni, Where’s the revolution non mi aveva convinto tanto all’inizio ma poi l’ho rivalutata. A giorni comprerò il disco per ascoltarlo come si deve. La band difficilmente mi ha deluso (Sounds of the universe) spero che accada con Spirit

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