Il peggior disco di Bowie. Punto.
Nel 1987 David Bowie dà alle stampe quello che universalmente viene definito il suo disco peggiore.
Never Let Me Down viene inciso in Svizzera in un periodo di grande fortuna commerciale per il Duca, che nel corso del decennio, pur non incontrando più i favori della critica come un tempo, aveva almeno dalla sua quelli del pubblico. Il grande riscontro commerciale degli anni 80 lo aveva preservato da quella strana sindrome in cui erano incappati tutti i grandi della sua generazione, incapaci di adeguarsi al nuovo linguaggio musicale imperante in quegli anni e di conseguenza sempre più lontani dai fasti di un tempo.
Bowie era riuscito a galleggiare, intuendo come sempre dove dirigere la sua arte e come captare i gusti del pubblico, con cui non aveva mai perso un filo diretto e privilegiato. Dopo Scary Monsters, disco in cui si staccava dalla sperimentazione della Trilogia Berlinese, era approdato ai meandri della Dance sofisticata di Let’s Dance, da cui poi era scaturito Tonight, una prova mediocre e piena di riempitivi.
Ma se i precedenti lavori erano un tentativo (non del tutto riuscito) di sintonizzarsi sulle onde del nuovo che avanzava, non aggiungendo, ma neanche togliendo nulla alla sua carriera, Never Let Me Down è invece un disco che mette a nudo tutti i suoi limiti dell’epoca e mostra varie crepe nel suo status di artista.
La bellezza e l’abilità di Bowie nel calarsi ogni volta dentro un nuovo genere, scardinandolo e facendolo suo, aveva permesso di chiudere un occhio di fronte alla sua decisione di abbracciare facili scelte di classifica, anche perché, alla fine, ci poteva stare. Ma proprio quando decise con Never Let Me Down di staccarsi un po’ da questa scelte e di realizzare un disco che fosse meno easy, tentando di ripristinare un assetto più adeguato alla sua storia, finì soltanto per svelare la sua mancanza d’ispirazione.
Il contesto musicale è sempre stato determinante per la riuscita dei progetti del Duca: quando un disco risultava essere congegnato strutturalmente fin dalla sua genesi e impostato secondo un visione d’insieme, difficilmente il risultato era deludente. E questo non valeva solo per i bestseller come Young Americans o The Rise And Fall Of Ziggy Stardust, ma anche per album come Outside o Earthling: tutti avevano alle spalle un preciso sfondo musicale su cui appoggiarsi ed esaltare le composizioni di Bowie.
Never Let Me Down, invece, non ha tutto questo, mostrando il fianco a facili critiche. Non avendo una chiara direzione, il disco insegue vari generi, cercando un equilibrio che non viene mai rintracciato, poggiandosi su tanti tipi di sonorità che ne fanno un accozzaglia di canzoni non degne del suo autore. Pezzi come Shining Star (in cui Mickey Rourke si presta a rappare), Time Will Crawl, Glass Spider o Day-In Day-Out mostrano tutta la piattezza di un disco che viene collezionato solo dai fans più accaniti del Duca. La produzione, da sempre il suo fiore all’occhiello, qui è sovradimensionata e eccessiva, con troppe chitarre e un gusto eccessivo che lascia perplessi.
Peccato, anche perché il tentativo di mettere una certa distanza da Tonight non era affatto male. Come sosterrà in seguito lo stesso Bowie, Never Let Me Down era figlio di un periodo in cui l’artista si sentiva succube del successo e incapace di porsi in maniera critica verso il suo lavoro. La rimozione quasi totale del disco avvenne in breve tempo, con le canzoni dell’album che sparirono dalle scalette dei suoi concerti e finirono in un limbo imbarazzato.
L’idea di tornare al Rock non era male e l’avventura con i Tin Machine permise al cantante di ritrovare il gusto per la composizione e disintossicarsi dagli eccessi da classifica degli anni 80, preparandosi ad anni ancora segnati dall’ispirazione.