Sharon Tate, la più celebre vittima della follia omicida di Charles Manson

Sharon Tate fu vittima dell’assalto della setta di Charles Manson, che la uccise al nono mese di gravidanza.

Il 9 agosto del 1969 Charles Manson fece conoscere al  mondo quale fosse il potere della sua follia, scatenando i suoi deliranti adepti in uno dei più atroci delitti degli anni 60.

La loro assurda violenza pose fine alla vita di Sharon Tate, del bambino che aveva in grembo e anche di altre quattro persone: Steven Parent, Jay Sebring, Wojciech Frykowski e Abigail Folger.

La bellissima giovane attrice

Sharon Tate in quei giorni era in attesa del ritorno del marito dall’Europa per l’imminente parto del loro primogenito, previsto entro un paio di settimane.

La giovane attrice, dopo anni di fugaci apparizioni, era riuscita nel 1965 a ottenere qualche parte di rilievo.

L’ingresso nel jet set londinese le fece conoscere Roman Polanski, che sposo’ nel 1968.

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Sharon Tate e Roman Polanski

Da Londra, i coniugi Polanski andarono a Los Angeles, nella villa di Terry Melcher, figlio di Doris Day e compagno di Candice Bergen.

Melcher mise a disposizione la sua abitazione di Cielo Drive per gli amici, non immaginando certamente cosa li aspettava.

La professione di Melcher, che era discografico, sarebbe stata infatti fondamentale per lo sviluppo della tragedia.

Charles Manson, desideroso di sfondare come musicista, avvicinò il produttore per poter avere un provino con la Columbia, non ottenendo pero’ quanto sperato.

Nella mente distorta di Manson, la villa in cui abitava Melcher (e in cui cerco’ di entrare prima degli omicidi, per farsi giustizia da solo) era il simbolo del rifiuto che la società gli aveva sempre tributato e decise di scatenare la sua vendetta contro i suoi occupanti, chiunque essi fossero.

Ma chi era Charles Manson?

Dopo anni passati ad entrare e uscire dal carcere, nel 1967 il futuro leader della Family si circondo’ di un numero crescente di ragazzi, che pian piano si fecero soggiogare dal suo carisma.

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Manson e il suo gruppo iniziarono così a girovagare per gli USA senza apparente destinazione.

Mentre il gruppo cresceva, di pari passo aumentava il controllo esercitato da quello che sempre più stava assumendo il ruolo di padre padrone di una vera e propria setta, gestita con pugno di ferro e dosi taurine di LSD e droghe varie.

Giunto a circa cinquanta persone, il gruppo si fermo’ finalmente nei pressi di Los Angeles, dedicandosi, oltre al lancio della carriera musicale del leader, anche a rapine e altre attività criminali.

L’assalto alla villa di Sharon tate

Quando Charles Manson si rese conto che il suo sogno di diventare un artista non si sarebbe mai concretizzato, decise di dare sfogo a tutta la sua frustrazione.

Manson incaricò quattro dei suoi più fedeli compagni di vendicare il suo orgoglio ferito nel peggiore dei modi: l’omicidio.

Charles Watson, Susan Atkins, Linda Kasabian e Patricia Krenwinkel si recarono alla villa dove la Tate e i suoi amici Jay, Wojciech e Abigail stavano passando la serata.

Per prima cosa tagliarono i cavi telefonici e poi scavalcarono il recinto che limitava la proprietà della villa.

Avvicinandosi all’ingresso, si imbatterono in Steven Parent, un giovanissimo commerciante porta a porta, che era stato ospite del guardiano dell’edificio e che stava rincasando: quattro colpi di pistola posero fine alla vita dello sfortunato ragazzo.

Mentre la Kasabian faceva da palo all’esterno, Watson e le altre due ragazze irruppero nella villa.

Sebring, che era stato legato per il collo alla Tate, imploro’ inutilmente di lasciare almeno viva la giovane donna incinta e fu il primo ad essere ammazzato con svariate coltellate e colpi d’arma da fuoco.

Toccò poi a Frykowski, che riuscì per un momento a liberarsi, ma non andò oltre una breve colluttazione prima di essere anche lui ucciso.

Infine la violenza si scagliò sulla sua fidanzata, Abigail, che fu accoltellata diverse volte.

Sharon Tate fu l’ultima a venire massacrata dai suoi aguzzini, subendo sedici coltellate, che uccisero lei e il suo bambino.

Prima di lasciare la villa, ridotta ormai un mattatoio, Watson scrisse sulla porta d’ingresso “pig” e sullo specchio del bagno “Helter Skelter” con il sangue delle sue vittime.

Gli inquirenti seppero degli omicidi solo la mattina seguente, quando il personale di servizio scoprì i corpi.

Inizialmente le indagini si concentrarono sull’unico superstite, il custode Garretson, che impiego’ molto tempo per sviare le attenzioni della polizia nei suoi confronti, arrivando anche a sottoporsi alla macchina della verità.

Gli altri omicidi

Intanto il giorno successivo Manson condusse personalmente i suoi seguaci all’esecuzione di un altro delitto, uccidendo i coniugi LaBianca in maniera anche più violenta di quanto compiuto solo poche ore prima.

La Family stavolta scrisse “Healter Skelter” (con un evidente errore ortografico) con il sangue delle vittime sul frigorifero, mentre “Death To Pigs” e “Rise” vennero incise in soggiorno.

Proprio queste scritte portarono alla fine la polizia a considerare legati  i massacri e a fermare l’escalation criminale di Charles Manson alla fine del 1969.

Il capo della Family e tutti i suoi adepti coinvolti vennero condannati a morte nel 1971, con pena commutata in ergastolo nel 1972.

La ricerca compulsiva della fama

La compulsiva rincorsa della fama, rivelatasi impossibile da raggiungere per vie canoniche, insinuo’ nella folle mente di Manson l’idea che forse il modo più semplice per raggiungerla fosse quella di dedicarsi all’omicidio spietato e crudele.

La follia lo convinse a lasciare la sua firma  nei vari riferimenti alle canzoni dei Beatles, di cui era da sempre un grande fan (Helter Skelter, Piggies).

Questa sua ossessione pose fine a molte vite innocenti, vittime inconsapevoli delle sue macchinazioni deliranti.

Tra queste c’era un bambino che non vide mai la luce e che venne sepolto in braccio alla sua bellissima mamma.

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7 commenti

  1. Una storia tremenda dalla quale Polanski non si riprese mai del tutto, e c’è da capirlo. Non metto “like” perché pur apprezzando l’articolo non mi sento di esprimere un sia pur convenzionale segno di “gradimento” per tanto orrore.
    Hai ben raccontato come al solito.

  2. Ero una bambina all’epoca, ma questa storia si incise per sempre in me, vedevo i miei genitori sconvolti, mi spiegarono tutto. Non ho mai dimenticato e credo che proprio questa storia abbia dato inizio alle molte convinzioni che mi porto dietro da sempre e a cui non ho mai rinunciato.

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