L’album in cui il rapper approda alla maturità.
Dopo il grande successo di Museica, che gli aveva tributato anche il Premio Tenco come disco dell’anno 2014, Caparezza sforna un nuovo album che, come al solito, è degno di attenzione.
Prisoner 709 nasce dopo un problema all’udito del rapper di Molfetta, l’acufene, il fischio che si ha di solito alle orecchie dopo essere stati sommersi da suoni troppo alti e che impiega un pò di tempo ad andarsene.
Purtroppo, nel caso di Caparezza quel sibilo ronzante a un certo punto non se ne è più andato, costringendolo a riflettere sulla sua condizione di artista e mettendolo di fronte a quanto la musica gli aveva dato negli anni della sua fortunata carriera e a quanto, invece, gli stava portando via.
Da questi pensieri è nato il progetto del nuovo disco, in cui l’analisi della sua condizione fisica, degli stimoli e di quanto possa essere ingombrante la sua carriera a questo punto della sua vita viene cadenzata in questa sorta di concept album che è Prisoner 709.
Caparezza ha inciso un disco dove la propria cella mentale, colma di dubbi e di incertezza, viene resa come una prigione: l’artista si trova a compiere il tipico percorso carcerario fatto tra l’altro di lettere, idee di evasione, colloqui e religione, nel tentativo di liberarsi non da qualcuno che lo ha costretto lì dentro, ma dalla crisi personale che lo ha colpito.
Lo stesso titolo dell’opera acquista un senso differente: il Prigioniero 709 può essere anche letto Prigioniero 7 o 9. Sette sono le lettere di Michele, il vero nome del cantautore, mentre nove sono le quelle che servono a comporre l’alter ego Caparezza; ma sette sono anche gli album pubblicati da quando il signor Salvemini veste i panni del rapper ricciuto, anche se in realtà se ne dovrebbero contare nove, volendo includere quelli incisi sotto lo pseudonimo di Mikimix.
L’atmosfera pesante che permea gran parte di Prisoner 709 viene alleggerita da canzoni come Ti fa stare bene, solito pezzo magistrale con cui Caparezza conquista le radio, grazie anche all’aiuto di un coro di bambini.
Oltre al nuovo singolo c’è da segnalare il disagio fisico descritto in Larsen e quello spirituale di Confusianesimo, il bisogno di confrontarsi anche con il sé stesso più giovane di Una chiave, il desiderio di provare a migliorarsi nell’ingegnosa e debordante Il testo che avrei voluto scrivere e il degrado che riempie i social media descritto in L’Uomo che premette.
Molte le partecipazioni all’album: Max Gazzè nella leggera Migliora la tua vita con un clic, John De Leo nelle dark Prosospagnosia e Minimoog, Darryl McDaniels dei Run DMC nella caotica Forever Jung.
La più determinante è pero’ quella di Michele Salvemini, che si mette a nudo e per lunghi tratti abbandona il proprio alter ego, mostrandosi in tutta la sua fragilità di uomo corroso da tanti dubbi. Il problema dell’acufene è quel campanello d’allarme che può insinuarsi in ogni esistenza presa dalla routine, costringendola a deviare e a volte deragliare dal suo percorso, portando via le tante o poche certezze accumulate negli anni.
Questo disco è l’ennesima tappa di una crescita artistica con pochi precedenti negli ultimi tristi anni di musica italiana, ormai basata su cicliche trasmissioni televisive dedite a scovare giovani da masticare per qualche mese e poi gettare di nuovo nell’anonimato.
Prisoner 709 è un grande album, difficile e a volte ostico (ma anche per questo forse il migliore di Caparezza), che non lascia momenti di stanca all’ascoltatore e lo immerge in un’atmosfera fluviale di suoni e parole, metriche e visioni. Ne sentivamo decisamente il bisogno.
Per quello che ne so il tinnitus non lo guarisci ma puoi solo cercare di attutirne gli effetti.
Ne hanno sofferto anche geni come Ludovico Van e Andy Partridge:
https://sussidiaria.bandcamp.com/album/tinnitus-tales-le-forbici-di-manit-and-friends-sd010
Infatti lo stesso Caparezza ha dichiarato di aver provato di tutto per superare il problema, ma di essere ormai rassegnato all’idea di convivere con questa scomoda conseguenza del suo lavoro.
Non me ne vogliano i fans dei Pink Floyd, ma non so perchè “Ti fa stare bene” mi ricorda “Another brick in the wall”
Ricorda molto l’impostazione del pezzo di Waters, almeno nel coro dei bambini.
Ascoltato è un bel cd! Forse un po’ più lugubre del solito
Si, è sicuramente più scuro e pesante: probabilmente anche per le chitarre heavy molto più presenti del solito.
e questo non lo rende affatto male anzi… il lugubre…era per lo spirito che da ribelle sta virando sul isolato incompreso…